Torniamo inesorabilmente a parlare di un tema molto caldo e sempre più attuale: la mancanza di personale nel mondo della ristorazione. Tutto comincia con un articolo del Corriere della Sera, scritto da Chiara Amati che ha intervistato volti noti nel panorama della cucina e della cucina televisiva.
Alessandro Borghese, ma ci piace davvero?
Questo articolo ha creato non pochi sussulti sui social, dove amici, colleghi e conoscenti ripostavano l’articolo scrivendo le loro feroci opinioni in risposta a delle affermazioni di Alessandro Borghese. Personalmente non mi è antipatico, anzi, mi è parecchio simpatico e devo dire che quando sono a tavola con i miei collaboratori qualche volta lo cito e riesco sempre a strappare una risata a tutti. Borghese, si sà, è un uomo molto carismatico e il suo successo televisivo è tutto merito suo, un personaggio piacevolissimo.
Riguardo a quello che Borghese afferma nell’articolo del Corriere però non mi trova d’accordo, e mi piacerebbe spiegarvi il mio punto di vista in modo pacato e sereno, allontanandomi e prendendo le distanze dalle offese che in questi giorni ha ricevuto sui social. Quello che mi piacerebbe invece, è analizzare le sue affermazioni in un determinato e specifico contesto che lui stesso cita. Nell’articolo infatti Borghese parla di “defezione” da parte di 4 membri della brigata del suo ristorante a Milano. Aggiunge qualche lezione di vita, ricordando quando lui si accontentava di vitto e alloggio mentre lavorava sulle navi da crociera perchè “l’opportunità valeva lo stipendio”, parole di Alessandro Borghese.
Defezione per chi non lo sapesse vuol dire mancanza della parola data, Borghese lamenta questa defezione per un servizio serale del fine settimana puntando il dito contro il personale giovane che preferisce la dolce vita all’impegno lavorativo, aggiungendo forte disappunto sul fatto che lui e il suo braccio destro hanno dovuto lavorare durante il weekend. Delle mie esperienze lavorative in cucina ricordo delle situazioni simili in ambiti lavorativi molto stressanti, dove con poco personale si era obbligati a gestire servizi di livello alto. Per esperienza posso dire che lavorare il fine settimana è sempre impegnativo, soprattuto quando sei a Milano ed esci dalla cucina dopo tredici ore di lavoro alle 02:00 di notte, se va bene.
Personale e Win-Win concept
Ma ricordo anche che una volta chi lavorava il fine settimana guadagnava tre volte o di più di chi lavorava in settimana. Quindi mi domando se c’è equilibrio sul piano dello scambio e se parliamo la lingua del “win win”, dove per “win win” intendo che ci sia un guadagno da entrambe le parti, da parte del datore di lavoro che vuole assicurarsi una certa tranquillità e da parte del lavoratore pronto ad impegnare il suo tempo in cambio di un vantaggio economico o lavorativo.
Oggi il tempo è una merce di scambio molto preziosa, in un panorama di desertificazione della professione bisogna offrire di più, bisogna offrire qualità. Riguardo all’affermazione “l’opportunità valeva lo stipendio” sono d’accordo e non d’accordo. Anche qui tocca fare chiarezza caro Borghese, Milano non è Torrile (PR), Milano costa ed è cara.
Va bene vitto e alloggio, ma un minimo di retribuzione va sempre data, non tutti possono avere alle spalle famiglie pronte a sostenere economicamente i nostri sogni, per non parlare di chi famiglie non ne ha o non ne ha mai avute. Condivido l’idea sulla lezione del sacrificio in cambio del successo, perseverare per raggiungere i propri obiettivi e migliorare sempre di più, ma proprio a causa di questo giochino molti giovani cuochi sono stati sfruttati, lo sono tutt’oggi e lo saranno ancora.
Meravigliosamente romantica l’idea di “andare a bottega” un concetto tutto italiano, offrire esperienza in cambio di mano d’opera, bella nel rinascimento, bella in un italia del dopoguerra.. Siamo nel 2022, l’idea romantica dell’andare a bottega può sempre essere accarezzata, ma non per periodi superiori ai sessanta giorni, altrimenti chiamiamola sfruttamento.
Dopo sessanta giorni un ragazzo mediamente sveglio ha già imparato la linea di una cucina, ha già imparato come deve muoversi e come replicare ciò che ha visto e se non sa qualcosa è perchè non gli è stato spiegato o fatto vedere. Se utilizzi sempre un’apprendista per i lavori più umili, stai tranquillo che non imparerà nulla, finirà l’apprendistato e preferirà fare altro o addirittura non fare nulla, perchè sarà entrato in confusione. Diciamoci la verità, l’apprendista, lo stagista o il tirocinante spesso sono impiegati per svolgere i compiti che solitamente non vuole svolgere nessuno.
Risorse umane o persone?
Io prendo le distanze da questa idea contorta che c’è oggi sulla difficoltà di trovare personale, non è vero che non si trova personale, la verità è che spesso non si è retribuiti a sufficenza per lavorare il fine settimana, o magari i giorni di festa. Turni pesanti, stress, urla e chi più ne ha più ne metta, sappiamo tutti com’è il mondo della ristorazione.
Si può cambiare? Si, assolutamente, basterebbe fare turni più leggeri, far lavorare tutti allo stesso modo e dividere i compiti meno piacevoli in modo più equo, dare a tutti due giorni liberi a settimana, dare a tutti un fine settimana libero al mese, dividere le mance in modo equilibrato e ricordarsi sempre che al nostro fianco non ci sono solo risorse ma soprattutto persone e che dietro quelle persone ci sono delle vite che hanno il diritto di essere vissute.
Un ultima cosa, se io stessi disperatamente cercando personale, in un momento come quello attuale e avessi l’incredibile opportunità di farmi intervistare da un giornale nazionale così popolare sfrutterei l’occasione per esaltare i giovani, invogliarli a tornare proponendo qualcosa di diverso, di migliore. È un peccato sprecare certe opportunità così in malo modo. “One Shot One Kill” caro Borghese e questa volta hai mancato il bersaglio.